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Revocata la scorta a Pino Masciari. Diena (SE): “Scelta azzardata e pericolosa”

Nel nostro Paese sono poche decine le persone che decidono di sacrificare la propria vita in nome della fiducia nei confronti dello Stato e della democrazia, i cosiddetti testimoni di giustizia. Un’espressione che trovo bellissima, ma che purtroppo si porta dietro dolori inimmaginabili.

A causa della sua ribellione alla mafia, Pino Masciari, con sua moglie e i suoi due figli è stato costretto a lasciare la Calabria, per essere prima inserito in un Programma Speciale di Protezione per 13 anni e poi, dal 2010 in libertà sotto scorta qui a Torino.

Le sue denunce hanno colpito direttamente alcune tra le famiglie più potenti della ‘ndrangheta in tutte le province calabresi.

E così, dopo varie ripercussioni per mano della criminalità organizzata (incendi, danneggiamenti, furti, minacce e violenze nei confronti dei familiari), come un fulmine a ciel sereno il 15 ottobre Pino Masciari riceve la notifica di revoca della scorta.

Questo significherebbe che lo Stato non li ritiene più in pericolo e si assume la responsabilità di questa scelta. Poco importa che la controparte sia conosciuta per recapitare condanne di morte alle persone considerate scomode anche a distanza di decenni.

Peraltro il pericolo appare ancora in essere, dal momento che Masciari è stato nuovamente testimone in recenti processi e in tutta Italia mantengono la propria egemonia le medesime famiglie mafiose da lui denunciate.

Non solo: il Tribunale di Torino ha recentemente comminato 19 condanne per un ammontare superiore ai 185 anni di carcere nell’ambito del processo Platinum sulla presenza della ‘ndrangheta in Piemonte.

Sorge solo una domanda: perché questa scelta?

Stamattina in commissione mi sono permessa di fare una riflessione sull’astensionismo e sui giovani, giovani che mai prima di oggi denunciano una sfiducia pressoché totale nei confronti delle istituzioni.

Sono gli stessi giovani che rimproveriamo per non aver trovato un motivo valido e 10 minuti della propria vita per dire la propria il 25 settembre.

Al posto di puntare il dito la classe politica dovrebbe interrogarsi, dovremmo interrogarci sulle cause più profonde che hanno portato a questo.

E nel farlo mi vengono spontanee le parole di Rosario Livatino, vittima innocente di Mafia, che a loro volta sono state portate oggi in commissione dal Referente Provinciale di Libera: “Alla fine dell’esistenza, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili“.

E allora chiediamo a gran voce che lo Stato si renda credibile di fronte ai testimoni di giustizia, ma soprattutto di fronte a chi, nell’eventualità di essere abbandonato da un momento all’altro e privato delle tutele necessarie, non solo non denuncerà, ma continuerà a essere assoggettato alla mafia.

Aspettiamo con ansia la risposta del Ministero dell’Interno all’interrogazione parlamentare dell’onorevole Grimaldi rispetto a questa scelta azzardata e pericolosa.

Sara Diena, consigliera comunale di Torino

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